Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Il suono del tempo

di Ilaria Paluzzi

Era successo davvero, ne parlavano tutti i giornali. Ma quando Lilì corse da Marilou per riportarle la notizia, lei non voleva crederci.
«Ora sei libera! Riesci a crederci?», esultava Lilì.
«Libera?», chiese perplessa Marilou.
«Proprio così, libera!»
«Cosa significa, esattamente?»
«Significa che intanto puoi uscire da quel maledetto orologio dove sei nascosta da mesi!».
A Lilì risultava difficile immaginare il motivo per il quale Marilou non avesse esultato alla notizia che tutti i giornali gridavano: «L’arte è necessaria!». Allo stesso modo per voi dovrà sembrare poco credibile che ci fu un tempo nel quale l’arte e, in generale, tutto quello che producevano gli artisti, era considerato inutile, roba di poco conto, bazzecole prodotte da poveri folli, non più che un semplice intrattenimento del quale si poteva fare a meno. Ma un giorno le cose cambiarono.
Successe diversi anni fa, per la precisione quando, a causa di una stranissima epidemia chiamata Covid19, il mondo fu costretto a fermarsi. Si ebbe come l’impressione che si fosse fermato il tempo, la gente era costretta a restare a casa, soprattutto si raccomandava alle persone di mantenere la massima distanza. Per questo motivo alcuni innamorati non poterono frequentarsi, furono separate le famiglie, in molti si sentirono come incastrati nelle rispettive solitudini. L’unico modo che avevano per sentirsi liberi era ascoltare una musica, leggere un libro, guardare un film, sfogliare foto di posti lontani. Solo così si aveva come l’impressione che, pur stando fermi, qualcosa continuasse a muoversi.
Tuttavia, malgrado la gente si fosse resa conto di quanto fosse importante l’arte, lo stesso non poteva dirsi per le autorità. Presidenti dei vari governi continuavano a sostenere che l’arte non fosse così necessaria e, anche qualora evitavano di esprimersi, lo davano a vedere dal trattamento che veniva riservato agli artisti: esonerati da qualsiasi progetto per la salvaguardia e la tutela delle loro attività. Incuranza che fu riservata soprattutto ai cosiddetti originali, ossia coloro che producevano ‘opere di poco conto’, ‘difficilmente classificabili’, ‘mai riconosciute da ninguna accademia’.
Furono dunque quelli tempi molto tristi. Alcuni artisti provarono ad esprimersi ugualmente, specialmente gli originali, come Marilou che andò a nascondersi dentro il pendolo di un vecchio orologio al centro della città. Ogni volta che quello suonava, lei spirava con la sua dolce voce sul tempo, addolcendo così le giornate troppo lunghe della gente e, allo stesso tempo, alleggerendo quel piccolo cuore che le pesava nel petto. I politici di allora infatti ignoravano un fatto che oggi è noto: per un artista l’impossibilità di creare potrebbe rivelarsi un evento catastrofico, il suo cuore potrebbe gonfiarsi fino ad esplodere e avrà come la sensazione che il petto venga trafitto da mille piccole spine.
Ma un giorno Marilou non si sentì bene. Le mancava l’aria, le mancava poter cantare per strada, le mancava il buon cibo, e anche quello scarso, le mancava la gente che l’ascoltava, le mancava soprattutto un posto caldo. L’inverno arrivò a coprire le colline e le case e anche l’orologio dove si era nascosta, che per un bel po’ l’aveva protetta, finì col tradirla. La sera aveva le mani così infreddolite che a mala pena le riusciva di chiuderle. E poi una mattina si svegliò febbricitante. La sua amica Lilì la soccorse. Ma di cantare proprio non se ne parlava.
La gente cominciò a innervosirsi. Il tempo era tornato ad essere rigido, come l’inverno, come la monotonia delle loro giornate. Nessuno però sapeva come risolvere il problema. Marilou si era nascosta troppo bene nel corso di quelle giornate di quarantena. E poi un giorno un signore che passeggiava nei pressi dell’orologio col suo cagnolino, la vide uscire a fatica dal pendolo. Aveva il viso emaciato, i vestiti consumati, il passo pesante e con le mani si teneva il petto trapunto di dolore.
«Cosa hai fatto al nostro orologio?», la aggredì il signore.
«Ma io...»
«Sei stata tu spegnerlo?», continuò a gridare, mentre il cane cominciò ad agitarsi. Evidentemente l’aveva scambiata per una barbona, a guardarla mai avrebbe immaginato che una musica così dolce provenisse da quel viso così consumato.
«Era lei che cantava», una voce sbucò dalle spalle del signore. Quando quello si voltò, vide una donna dall’aspetto familiare. Era Lilì, tutti in città la conoscevano, perché lei aveva avuto successo.
«Ma davvero?»
«Sì, proprio così. Ma l’arte non è stata stabilita tra i beni necessari e dunque...»
«E dunque deve essere opposto un rimedio!», sancì il signore.
Il signore scappò via senza nemmeno salutarle. Le due amiche non potevano immaginare che quel signore, che trascorreva le serate ad aspettare che quella piccola voce ammorbidisse il suo tempo nel sogno, o che arrivasse a calmarlo quando gli affari non quadravano, che quel signore fosse uno dei più influenti politici del paese e così, quando finalmente si trovò un rimedio al virus insolente e fastidioso, tra gli argomenti che i politici intavolarono per la ristrutturazione del mondo nuovo, c’era proprio il riconoscimento dell’arte come bene necessario non solo per il vivere bene, ma per il vivere e basta. Quell’uomo infatti sostenne che avrebbe rischiato di impazzire, se non fosse stato per quella musica, di cui lui non sapeva niente, né niente intendeva.
«Hai visto Marilou?», esultò la sua amica Lilì, «Ora puoi uscire finalmente!»
«Sì ma ecco... credo che mi mancherà il mio nascondiglio»
«Ne troveremo un altro»
«Non sarò mai al sicuro come lì dentro»
«Non sarai mai al sicuro come al mio fianco», la rassicurò l’amica.
Furono dunque quelli tempi molto difficili, fortuna che siano finiti. Anche se, tra coloro che ancora abitano vicino al vecchio pendolo, qualcuno può giurare che di sera ancora si può sentire quella voce dolce che confonde il rintocco del tempo. Ma è una voce che si confonde con i sogni, dunque chi può dire di cosa stiamo parlando davvero.

 

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