Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Fiocchi d'avena

di Claudia Andreola

«Vedi di svegliarti immediatamente. E già che ci sei, spiegami come mai non abbiamo acqua potabile». A quelle parole Shida emerse dal fortino di lenzuola e, con un unico movimento sgraziato, scese dal letto per dirigersi a passi veloci verso la cabina madre, stanza che racchiudeva tutti gli strumenti utili all’ecocasa. Il depuratore dell’acqua lampeggiava, ricordandole beffamente che s'era dimenticata d’attivarlo la sera prima. «Che facciam?» chiese la ragazza fissando la madre, appoggiata allo stipite della porta e con un piglio accigliato. «Cosa vuoi che facciamo, aspettiamo che filtri l’acqua...per la colazione ci arrangiamo, penso di avere ancora dell’avena». «Una volta in questo Paese si mangiavano le brioches a colazione...». Le due si erano spostate in cucina, con Shida che sedeva al tavolo mentre la madre riscaldava l’avena. «Non dire scemenze, nessuno mangiava cornetti tutti i giorni. Era una cosa speciale, tipo da colazione fuori o giorni festivi. La nonna dice» «... che il bisnonno ogni tanto portava le paste a casa, la mattina presto, per fargliele trovare quando si svegliava. Ricordo». Era diventata un’abitudine della nonna raccontare del prima. Forse per raccontare dei bisnonni o forse per far conoscere a Shida, che era nata dopo, com’era la Terra. Senza restrizioni, senza tempo instabile, senza la maniacale lotta allo spreco di risorse, che di risorse se n’erano già sprecate così tante.

Rami entrò in cucina scompigliando i capelli della figlia. Era vestito di tutto punto, con il cappotto che faceva intravedere sotto giacca e cravatta abbinati. «Vai in presenza oggi?» chiese la ragazza guardando con sospetto il padre. «C’è una presentazione con gli indiani, sai quanto è importante essere presenti al tavolo della discussione, anche se poi è un olocall. I lavoratori in presenza vengono promossi prima degli homebound. Niente caffè oggi?» chiese Rami alla moglie, cingendole la vita di lato. «Tua figlia si è dimenticata di avviare il purificatore… dovrai prenderlo in giro» rispose Elèna, togliendo un pilucco sulla giacca del marito. «Hai controllato il livello dei gas?» «Sto andando adesso». Shida guardava quella scena con apprensione crescente: quando ieri aveva preso accordi con Liliana, non sapeva del padre. L’ossigeno in casa stava per finire; era stato un mese difficile, con la nonna che si era sentita male e che doveva essere portata dallo specialista. Gran parte della riserva che spettava al loro nucleo familiare era stata consumata; dovevano centellinare le uscite. Senza aspettare il padre tornò alla cabina madre, dove accanto alle aereo-bolle il misuratore dei gas clima-alteranti presenti all’esterno leggeva 17. «Merda». Non si poteva uscire senza le aereo-bolle che filtravano l’aria e la mischiavano all’ossigeno distribuito dal governo. Rami nel frattempo l’aveva raggiunta. «Tutto ok?» «Oggi devo andare a scuola» «Non vedo quale sia il problema». Rami voleva bene alla figlia, davvero, ma percepiva l’arrivo della tempesta e lui non aveva tempo. «Papà non si può uscire senza aereo-bolle, e dobbiamo conserve l’ossigeno in caso di emergenza. C’è n’è troppo poco per due persone» «Tesoro…» «Papà ti prego, ho detto alla scuola che avrei fatto in presenza questa giornata». Shida cercava con fatica di usare un tono di voce normale: voleva uscire di casa, vedere la sua migliore amica e parlare con Shadi, il ragazzo che le metteva sempre mi piace ai post. Chiedeva poi così tanto? Ma Rami aveva quell'espressione che solo i genitori potevano avere quando stavano per dire, a malincuore, di no. «Mi dispiace tesoro, oggi è troppo importante: se chiudiamo l’accordo potrebbero darmi un aumento. Avremmo più ossigeno per andare dove vogliamo...guarda all’obiettivo di lungo periodo». Rami odiava quella parola. Lungo periodo. Era entrata nel suo vocabolario con il collasso, e da allora tutto doveva essere fatto “per il lungo periodo”: l’alimentazione, il vestiario, la scelta di lavoro...anche Shida era frutto del lungo periodo, nata perchè l’ONU voleva ripopolare quella zona del pianeta. La ragazza abbassò gli occhi, sentendo due grosse lacrime scivolargli giù per le guance. Stavolta ci aveva fantasticato troppo su quell’uscita: aveva progettato come si sarebbe vestita, dove avrebbe casualmente incrociato Shadi, il tono di voce che avrebbe utilizzato. Ora invece tutto era rimandato a un futuro vago e incerto. Elèna, che nel frattempo li aveva raggiunti, alzò lentamente il volto alla figlia, asciugandole con le dita le lacrime. Odiava vederla così, e ogni volta malediceva se stessa e tutta la sua razza per essere arrivati a quel punto: con un’aria irrespirabile, con un clima tropicale caratterizzato da piogge perenni e con case-bunker dove erano rinchiusi. «Che ne dici se torniamo di là, chiamo la scuola e poi ti racconto di quando la nonna ha mangiato un cervo?» disse Elèna, nella speranza di distrarla. Shida guardò la madre come si guarda un pazzo che parla al contrario. «Mamma ma che dici, nonna è sempre stata vegetariana. E poi è impossibile: gli umani non hanno mai mangiato i cervi». Nonostante il dispiacere per la giornata andata in fumo, Shida cercò di concentrarsi sulle menzogne della madre. Perchè erano menzogne: nessuno sano di mente avrebbe mai creduto in un mondo dove la nonna era carnivora. Camminando spalla a spalla lungo il corridoio, Elèna poggiò il braccio sulle spalle della figlia con fare cospiratorio. «Ed è qui che ti sbagli, cucciola mia. Devi impararlo subito: se c’è qualcosa che il genere umano non conosce, sono proprio questa due parole: sempre e mai. Nessuno si sarebbe mai aspettato che il mondo impazzisse, ma siamo sempre qua. Chiaro?»
Shida sbuffò al buonismo della madre, ma non potè fare a meno di sorriderle; la tempesta che covava nel cuore era diventata un lieve sussurro. Prese una cucchiaiata di avena; era tornata fredda. Sospirò. Sarebbe stata una lunga giornata.

 

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