Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

KAL

di MMM

A. è sempre stata ossessionata dal passato e dalla memoria, forse per merito o colpa di sua madre, oltre che della terra in cui è nata e cresciuta. Da piccola sua madre, la signora L., le insegnava il gríko, una lingua antica che sopravviveva nei buongiorno tra lei e la vicina di casa e nella bocca di poca gente; le raccontava di quando andava a raccogliere il tabacco o a lavorare in fabbrica e la sua sveglia era lo sbuffo del treno che entrava in stazione. Ma le storie preferite di A. erano quelle sul nonno Ciccio, un capoccione-fornaio-comunista con le stesse mani di Jean Cocteau, che venne processato (e assolto) perché vendeva L’Unità. Un giorno del 1970 quelli della DC lo invitarono a pranzo: gli offrirono pesce fritto, un bicchiere di vino e di abbandonare il partito comunista in cambio di soldi e lavoro. Suo nonno rispose: “iu tengu tanta stuppa te filare”, che parafrasato significa: “io posso fare qualunque cosa”. Non aveva bisogno né dei loro soldi né di aiuti lavorativi: avrebbe potuto tirare a campare non importava come. Tagliando il grano o raccogliendo legna da mettere nel forno per cuocere il pane. A. vorrebbe avere la stessa forza di suo nonno per affrontare il futuro.
Ma per chi come A. vive aggrappata al passato, è difficile profetizzare e congetturare il mondo che verrà, soprattutto perché A. non riesce a pensare il tempo in maniera lineare: in hindi esiste una sola parola per dire “ieri” e “domani”, kal, che esprime il tempo in maniera circolare. A. pensa spesso a Johann Heinrich Bisterfeld, amico di Leibniz, che parla di immeatio e che afferma che “niente in natura è così assoluto”, che ogni elemento è reciprocamente connesso. Una teoria della conoscenza, insomma, che concepisce il mondo come una unità simbiotica, in cui il vuoto non esiste e nessun corpo è solitario, poiché in ogni corpo è presente una parte di appetito e percezione in base ai quali si percepisce cosa gli è congruo (e cosa no). Ecco, A. spera che nel futuro ci si senta meno soli o che perlomeno si impari a vivere in pace con la propria solitudine.
Poi A. guarda vecchie pellicole con Alice Howell, Mabel Normand e Snub Pollard e le capita di pensare alle parole di Saint-Pol-Roux che tanto ama: «Il cinema futuro non avrà schermo. Il cinema futuro non sarà più « sole sopra », ma « sole dentro ». Andrà in giro per il mondo come voi e me. […] Per mezzo di questi fantasmi doppi, tripli, centupli, l’uomo non morrà. Questi esseri saranno la nostra prospezione, la nostra resurrezione. Il cinema futuro è l’Immortalità». A., che quello che pensa davvero vorrebbe ingoiarlo e digerirlo per farlo sparire, si immagina un mondo ed esseri umani resi immortali dal cinema. Sì, perché il cinema inventerebbe mondo e uomini migliori. Aria pulita, niente malattie, niente morte, niente assassini, niente violenza.
Le cose del dopo A. vorrebbe guardarle in un film e sentirsi al sicuro.

 

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