Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Il troppo storpia

di Ross


Sono le sei del mattino di una giornata estiva, ho impostato l’orario sulle tapparelle automatiche, appena scatta l’ora si alzano per svegliarmi con i primi raggi del sole.

Amo il sole ma di prima mattina essere accecati dal suo bagliore non è proprio di mio gradimento, rimpiango i vecchi tempi andati, perfino il suono fastidioso della sveglia del telefono mi manca.

Ormai quella tecnologia fa parte del passato, ora portiamo dei piccoli proiettori da polso che fanno semplicemente tutto.

Questa nuova era è l’ideale per i pigri, non si fa assolutamente niente, vivere ormai sembra quasi superfluo, per quanto io sia pigra questo mondo riesce solo a mettermi una grande tristezza.

Tutta la città lavora nella grande fabbrica robotica in centro ma non ci si ammazza di lavoro anche perché si tratta o di digitare qualche tasto sulle macchine che producono i robot ogni tanto o di controllare che il prodotto finale sia perfetto.

Siamo in tanti che lavorano all’interno, essendo la prima fabbrica e anche la più grande riforniamo tutto il mondo e questo ci permette di mantenere l’intera popolazione senza nessuna difficoltà.

Terminato il mio turno noiosissimo mi fermo sempre nella mia caffetteria preferita, lì non ci sono robot che lavorano ed è proprio questo che amo di quel posto.

Appena varco la porta il profumo del caffè mi avvolge, e il sorriso di Emily e Derek mi danno il benvenuto nel loro angolo di paradiso.

Il “Dolce Passato” è il nome del loro locale, e secondo me gli si addice, viene tramandato da generazioni e spero che continui così ancora per diversi anni.

Bisogna accogliere il futuro ma non dimenticarsi le radici, quando mi siedo in un divanetto posso ripercorrere tutti i ricordi del passato, posso udire le risate di chi purtroppo ora non c’è più.

Mentre assaporo il mio caffè caldo mi raggiunge il mio fidanzato Mark che ha appena terminato il suo turno di lavoro, io e lui ci siamo conosciuti qui la prima volta.

Tra una chiacchera e l’altra si fa sera, salutiamo Emily e Derek e ci avviamo all’uscita, all’esterno del locale troviamo già i robot notturni, sono quelli che vegliano che non venga commesso nessun crimine approfittando delle tenebre.

Devo dire che da quando ci sono non sono più successi omicidi o altro ma la loro costante presenza mi fa sentire sempre in gabbia, siamo osservati e controllati ogni singolo minuto della nostra vita, e per quanto mi sforzi più che sentirmi protetta mi sento controllata.

Mentre camminiamo verso casa continuiamo a parlare di cose futili, attorno a noi svolazzano macchine volanti per le vie, robot che spazzano le strade e quelli che ripuliscono i cestini.

Tutti sfruttano la tecnologia, pochi fanno ancora due passi all’aperto, nessuno muove più un dito tranne che per lavorare in fabbrica.

Se mi guardo attorno rimpiango il passato, la città ha acquisito le sfumature di grigio, non possiede più quei colori sgargianti di un tempo, perfino i vestiti non hanno più colori.

Finalmente siamo sulla soglia di casa, volevo passeggiare ancora un po’ ma un robot notturno ci controllava a distanza e questo mi infastidiva parecchio.

Farei di tutto per tornare nel passato, c’era la tecnologia ma non era lei a controllarci, mi sembra così assurdo, noi siamo controllati da ciò che abbiamo costruito.

Nella notte sogniamo il passato, riviviamo ciò che ora non c’è più, assaporiamo ciò che ci è stato tolto, la mattina riviviamo ciò che più odiamo.

Le tapparelle si sono alzate, dalle finestre vedo già sfrecciare le prime macchine volati, ci vestiamo e andiamo a fare colazione al “Dolce Passato”.

Terminata la nostra colazione ci dirigiamo verso la fabbrica, nel momento che noi entriamo c’è chi esce perché ha finito il turno, sono turni continui 24 su 24, e non ci sono festività.

Non essendoci granché da fare all’esterno non è che ci si ponga problemi nel non poter stare a casa, il lavoro non è pesante anzi è tremendamente noioso, tra schiacciare un pulsante e l’altro si può chiacchierare o giocare con il nostro proiettore da polso.

Le attività rimaste attive sono i cinema e i musei oltre a qualche negozietto artigianale sperduto chissà dove.

Non sono mai stata una sportiva eppure guardando come sono adesso le cose mi mancano perfino gli sport, guardando le persone che circolano in città vedo tanti automi svuotati da tutto ciò che li rendeva umani.

I negozi inattivi sono stati abbattuti per creare discariche per i robot difettati o magazzini per i nuovi ricambi.

Qualche sera andiamo al cinema, almeno lì ci sono attori umani e non vengono sostituiti da robot, quelli però controllano i biglietti e si occupano di fornirti gli snack e ripulire la sala dopo la fine dello spettacolo.

La settimana prossima abbiamo deciso di chiedere due settimane di ferie, non per restare in città ma per partire per il nostro sogno.

Non hanno avuto difficoltà a concedercele hanno talmente tanto personale che la nostra assenza passerà inosservata, un nostro collega dovrà schiacciare qualche tasto in più ma di sicuro non suderà per questo.

I bagagli sono pronti e abbiamo tutto l’occorrente, nel nostro viaggio useremo la mia vecchia macchina che avevo tenuto in garage e dovremmo usare i nostri proiettori per viaggiare, purtroppo siamo costretti perché le strade e le città sono cambiate troppo per utilizzare vecchie mappe cartacee.

Siamo pronti a partire, siamo al settimo cielo per questa partenza, la sognavamo da molto e finalmente è arrivato il giorno.

Io e Mark la pensiamo allo stesso modo, il nostro obiettivo è quello di cercare altri posti come la caffetteria, al suo interno ci sentiamo ancora noi stessi, possiamo sentirci ancora umani.

Abbiamo bisogno di ritrovare le nostre radici e sappiamo che troveremo ancora tracce del nostro passato in qualche angolo sperduto, ne siamo certi, lì fuori c’è ancora qualcosa che possa farci ritrovare la felicità perduta.

La tecnologia di oggi ci ha dato tanto ma abbiamo permesso che ci togliesse tanto, nel nostro viaggio rivivremo tutto, ritorneremo consapevoli del valore della nostra umanità.

 

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