Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

CONTRO L'ORDINE COSMICO

di Andrea Moretti

Quando pensava al futuro che attendeva il genere umano, Mitra avvertiva il desiderio di non svegliarsi mai più.
Dal principio in cui gli umani non erano altro che primati, e sonnecchiavano in minuscole grotte, del resto, Mitra non faceva che lambiccarsi nell'idea dell'arrivo del popolo definitivo.
Che fosse quella umana la razza destinata a imprimere un segno positivo nell'universo?
I Fratelli divini nutrivano un pensiero differente.
Loro si divertivano: erano rassegnati, sin dall'inizio, che ogni organismo vivente tendesse soltanto all'autodistruzione.
Era un circolo che non avrebbe potuto concludersi in nessun altro modo che in un cumulo annichilente di cenere.
Residui fumanti che Mitra avrebbe dovuto soffiar via, nella volta vuota dell'universo, pungolato dai frizzi e dalle burle screanzate dei suoi Fratelli.
I suoi Consanguinei sapevano che tutto sarebbe svanito: la fiamma della vita nasceva soltanto per spegnersi.
Era il ciclo eterno degli esseri viventi, in un universo immobile, sorto senza alcuno scopo.
La naiade Nichilena era già al secondo pianeta assegnatole.
La prima stella in cui Lei aveva regnato era abitata da uomini Albatros, che si divertivano a eseguire acrobazie in mezzo alle nuvole.
Nel cielo di quel mondo, in eterno flusso, banchi di pesci fluttuavano a offrire costante nutrimento. Coralli fluorescenti spuntavano dalle nubi, con fulmini caleidoscopici laceranti.
Inizialmente era tutto perfetto: gli uomini Albatros vivevano placidamente. Non esisteva alcuna gerarchia né differenziazione sociale.
Tuttavia, per aggiungere una sfumatura crudele di brio, a quel pianeta fatto semplicemente di nubi, di riverenza e di valori puri, la tediata Nichilena aveva disegnato un apostrofo mefitico di malvagità.
Il male si era diramato subdolo: aveva invaso il cuore degli uomini Albatros, provocando guerre, invidia, senso di prevaricazione.
Una catastrofe si era sollevata a distruggere l'intera civiltà di Albatros, col contrappunto di una risata isterica che era divampata dalla gola della naiade.
Il secondo pianeta donatole, abitato da essere anfibi, non era altro che una grande massa d'acqua: oceani adamantini, con sfumature porpora e mistiche che vi crepitavano.
Di qua e di là, emergeva qualche corpo celeste, sulla cui superficie gli anfibi si arrampicavano per nutrirsi di alghe luminescenti.
Per questo secondo mondo, Nichilena non aveva avuto tanta pazienza; ne aveva avvelenato immediatamente le acque e tutta l'atmosfera circostante.
Gli abissi si erano riempiti di zolfo e magma fuso. Gli anfibi, uccidendosi e mordendosi gli uni con gli altri, erano emersi a galla olezzanti: i corpi che imputridivano viscidi, resi mostruosi dalla cattiveria instillatavi da Nichilena.
Per questi crimini cosmici, dal Consiglio cosmogonico non parevano lamentarsi.
Si trattava di forme di vita in campione, singulti rivoltanti di esistenza ed esperimenti stellari.
I Saggi osservavano tutto dai loro schermi celesti, seduti intorno al tavolo foggiato di intarsi necrotici di mondi finiti.
Aton, il Capo supremo, sembrava divertirsi a vederli ribollire.
L'ultima efferata epopea era stata intrapresa da Fratello Orofron: il pianeta di oceani degli uomini anfibi lo aveva fatto levitare nel cosmo, finché, scrosciante, non era deflagrato su quello dei cavalli torcia, mammiferi fiammanti che correvano su chilometri di pianure riarse.
Tutto questo aveva fatto soffrire Mitra, che era rimasto tramortito da una tetra letargia.
Si sarebbe addormentato; e gli umani che governava li avrebbe fatti agire come preferivano.
Se si fossero condotti da soli, pensava Mitra, le cose sarebbero andate meglio.
Nessun organismo vivente tendeva all'autodistruzione: nemmeno gli esseri umani.
«Che cuore tenero che hai, Mitra.».
Lo schernivano tutti: persino Aton, in più di un'occasione, aveva sentenziato che non era degno di portare il nome di Divinità.
Sarebbe stato meglio che crepasse insieme a loro: nel marasma annaspante di quelle creature ributtanti.
In non poche occasioni, i Fratelli erano stati a due dita dal latrare “vittoria”.
Con quel ridicolo baffone che, riesumato dalle leggende nordiche, voleva conquistare il mondo, le risate dei Fratelli erano state davvero tante.
Erano sicuri che il cataclisma fosse imminente; e invece no.
Il genere umano continuava a rinascere dalle sue ceneri.
Anche quando i valori morivano, la vita, svuotata della sua anima, si ostinava a proseguire.
Il Medioevo, le crociate, Auschwitz, il muro di Berlino... il mondo era sempre sull'orlo dell'Apocalisse; ma poi c'era qualcosa che impediva il corso di distruzione naturale delle cose.
Dopo le due guerre mondiali, tutte le divinità, e il Consiglio cosmogonico, erano col respiro teso, le gole frementi in attesa di esultare.
La prossima catastrofe sarebbe stata quella definitiva.
La povertà aumentava, e una minuscola casta di ricchi vi ingrassava sopra.
Gli umani erano stati fuorviati.
Nel tempo, Mitra aveva un po' barato, dando vita a personaggi profetici, autori di messaggi di pace universale.
Con Gesù ci era quasi riuscito: lui aveva lasciato una traccia molto forte nella storia; ma non tanto potente da abbattere l'alone di distruzione che, da sempre, aleggiava su quella civiltà.
Alla fine avevano barato anche i Fratelli: avevano devastato la terra con la pandemia di Diademavirus distruggendo economie, scatenando guerre e disgregazioni identitarie.
In tali momenti di difficoltà, era esplosa la retorica di una nuova rinascita fondata su principi di solidarietà; questa, però, appariva sempre più vacillante, e scricchiolava a ogni passo.
L'epidemia aveva messo in ginocchio tutto il concetto di civiltà.
Serviva che cambiasse qualcosa. La svolta sarebbe arrivata dai giovani. Mitra aveva fiducia in loro.
Avrebbe continuato a dormire finché gli umani non ne fossero usciti.
Se alla fine il bene non avesse trionfato, Mitra – in accordo con i suoi Fratelli divini, che non attendevano altro – avrebbe inferto loro il colpo di grazia. Non poteva continuare a vederli imperfetti.

 

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