Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Incompresa

di Anna Lafata

Una ragazza che si chiamava Lidia trascorreva dì e notte tra il divano e il letto. Fuori nevicava. Quel giorno guardava il calendario datato ancora 2018, il sette dicembre era colorato di nero. Aveva ventidue anni. Era assopita come se un’entità esterna si fosse impossessata di lei. Vedeva il mondo scorrerle davanti lento, le albe e i tramonti incasellati nella sua vita erano tutti uguali. Sulla scrivania la foto di Vanessa, la sua migliore amica. Erano passati due anni, da quel dì che aveva perso la voglia di reagire.
Indossò un maglione di lana a collo alto, infilò gli scarponcini di pelo, prese i guanti e uscì. Afferrò il badile e con i movimenti meccanici spalò il viottolo di casa. Al giardino mancava il solito pupazzo di neve, non l’aveva ancora fatto, ma quest’anno lo aveva promesso a Vanessa. Rientrò in casa a prendere due grandi bottoni e una carota. Nel tavolo da cucito della madre che era nello studio si sedette davanti allo specchio. Ammirò i suoi lunghi capelli color del miele, il bel visino proporzionato, gli occhi azzurri, spenti e tristi. Poi l’immagine cambiò.
«Vanessa, mia cara Vanessa.» La salutò e le parlò di quella vita che non le apparteneva più.
«Sai che uscirei volentieri da qui, ma è l’unico posto che mi dà conforto.» Chiacchierarono e risero rivivendo i momenti gioiosi trascorsi assieme.
«Linda, non fare come me. Reagisci.»
Prese i bottoni e tornò di fuori. Fece un cumolo di neve e modellò il pupazzo. Abbellendolo con la sciarpa verde di Vanessa.
La sera tornò la madre, parcheggiò l’auto davanti al vialetto e sorrise. Sorrise di cuore.
Gli antidepressivi prescritti dalla psichiatra l’avevano annientata e offuscata, non aveva più la forza di ribellarsi e la voglia di combattere. Avrebbe voluto gridare al mondo che le sarebbe bastato solo un po' di tempo per ritrovare se stessa e la vita di sempre. Frequentava l’università di economia, era una brava ballerina di danza contemporanea e usciva spesso con gli amici. Gli mancava tutto questo e incolpò la madre per averla incatenata a questa nuova realtà diagnosticata depressione post traumatica da shock.
Non sapeva se ne sarebbe mai uscita, non era più capace di esternare se stessa e si sentiva una larva che non sarebbe mai diventata farfalla. Nel suo mondo fatto di persone immaginarie viveva di ricordi per dimenticare quella maledetta escursione.
«Vivi la vita anche per me. Io sono stanca è troppo dura» disse Vanessa sorridendole dall’orlo di un precipizio. Poi, in un secondo, sparì nel vuoto per centinaia e centinaia di metri.
Linda aveva chiesto solo un po' di tempo. Erano passati mesi e mesi di pillole, di semi inconscio e non voleva passare più un altro Natale così.
Quella sera il pupazzo di neve.

 

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