Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

L'inverno dentro

di Enif

L’inverno dentro
Complice un refolo di aria gelida che la costrinse a una lacrima. Il cielo bigio poggiava sulla coltre forgiata dalla notte e onde di ghiaccio, lucenti, sbadigliavano alle prime ore del mattino. La luce bianca che emanava il cielo, lasciava intendere un sole determinato oltre le nuvole basse e minacciose. Ma l'incedere goffo di Ester diceva altro.
I contorni appiattiti mormoravano nella sua mente ricordi lontani, affiorarono alla superficie della sua coscienza addormentata.
Ogni passo frantumava la crosta rigida, scricchiolando fino a sfarsi sotto lo scarpone piatto e abilmente stretto intorno alla carne calda, chiusa nel calzettone felpato. Crick crack, Ester procedeva verso un orizzonte che disegnava immagini in tutta la loro vivezza, tutt'uno con i piedi che sprofondavano nella neve. Era soffice e non faceva resistenza, le mandava una sensazione di dubbia leggerezza.
L'atmosfera eterea entrava, aspirando, dentro la sua pancia e si insinuava nelle sue ossa. Il respiro ansante disegnava sbuffi di fatica che si facevano sempre più densi, amputando le pause di inspirazione fino a farle scomparire del tutto. Un ritmo canino, mentre, una dopo l'altra, le gambe disegnavano un arco laterale per affondare fino al ginocchio, lungo un sentiero immaginario ancora da battere.
Tirò su un ciuffo sfuggito al cappello soffiandoci da sotto, allontanò un rimasuglio di capelli dal naso con un grossolano colpo di mano. Il colorito chiaro del suo viso iniziava a dipingersi e un rossore piano piano definiva le sue gote normalmente smunte. Il freddo del mattino presto, secco e sferzante, le ghiacciava la ragione e la condensa intorno alle narici cadeva sullo scaldacollo rosa imbrattandolo di cristalli traslucidi. Gelidi pure i ricordi che si delineavano a tratti alla distanza di pochi metri dai suoi occhi, impalpabili, confusi ma dai colori duri di una infanzia violata.
No, non è qui! Non può essere qui! Incredula Ester si voltò in dietro a contare le impronte marchiate nella coltre ghiacciata della valle: un paio di piedi di una misura media, erano i suoi, lui non c'era ma sentiva vero il caldo viscido delle sue mani raggelare la sua schiena corta di bambina, costringendola a inarcarla come per sfuggire alla sua presa. Si sbilanciò in avanti, affondando il muso nella neve immacolata e il freddo penetrò nelle sue narici fino all'anima, facendo riaffiorare l'odore di vecchio e colloso rimasto attaccato nel segreto di lunghissimi anni. Restò immobile, in attesa di un comando a cui avrebbe risposto prontamente per non protrarre troppo quel momento. Fai presto, così ti lascio andare a giocare con le tue bambole. Tu vuoi giocare con le tue bambole, vero? Ester sentì la voce roca maschile diventare sommessa, nel tentativo di confinarla nella stanza chiusa a chiave con una scusa. Nel tentativo di essere lusinghiero e convincente un’altra volta.
Percepì la mollezza sotto la pancia pendula di lui, farsi roccia. Attese indicazioni, mentre la neve le ustionava i contorni del viso e delle labbra. Un rossore che non seppe spiegare neppure il medico quando la sua mamma e una sua zia, forse sopraffatte da un intuito da soffocare, ignare dell'ombra caduta sull'anima pura della piccola, lo consultarono precipitose, un giovedì pomeriggio di rientro da scuola. <<Congestione, signore mie! Nessun problema grave. Un’insufflazione e un po’ di riposo a casa faranno sicuramente bene alla piccola.>> A casa, ripensò Ester, quella casa che avrebbe dovuto proteggerla, nel tepore rassicurante di un amore accudente e carezzevole.
Intorno silenzio. Un silenzio dirompente, dissolti anche gli ultimi crepitii dei suoi passi affaticati.
Sono stanca. Ho freddo. Echeggiava nella sua testa il pensiero contorto di una bimba innocente, pura come la neve che le imbrattava il viso, cristallizzandola in una posa scomposta e innaturale per i suoi anni. Nessun comando arrivava dal passato e restò immobile, incastrata fino alle ginocchia nella neve rammollita dal calore che le ribolliva dentro, e il busto spalmato sullo strato di neve granulare accumulato nella notte, fino alla fronte.
Riprese fiato, ingoiando frammenti di neve. Tossì, sentendo la sua gola bruciare, una sensazione che tornò prepotente adesso che l'aveva rivissuta, il graffio e l'amaro di un piacere che lei non aveva mai provato, neppure in un'età dalla purezza incolta. La sua infanzia appena accennata era già finita, nel rumore di un’indifferenza distratta.
Accompagnò, con una smorfia di disgusto, il suo braccio deciso a svincolarsi dalla presa del freddo. Fece presa sulla crosta rigida sopra una neve soffice e polverosa, svincolandosi senza resistenza dalla sua morsa livida. Lanciò lo sguardo intimidito nello spazio appiattito e monocolore, intorno al suo corpo tremante, si percepì piccola e sporca. Era un corpo molle e immobile, posto male in un mondo che girava al contrario, come se vivesse su un piano opposto dell’esistenza, persino dubitando di essere viva. Non sentiva neppure la sua pelle ma solo il fluire del tempo, ritmato dall’incertezza della sua durata. Volersi morta era l’unica emozione che percepiva al centro della sua anima.
Era sola, travolta da una solitudine rassicurante e devastante insieme. Fece perno sullo scarpone imbrattato di ghiaccio e sentì il suo calzettone srotolarsi rapidamente, lasciando una sensazione di freddo spiacevole sulla liscezza del suo polpaccio. Ne percepì la nudità dal fastidio che il pantalone umido provocava sulla superficie calda della sua pelle.
Il fiato corto e il sole che traspariva tra le nuvole che intanto si facevano rade, non li avrebbe mai dimenticati! Ester si scrollò gli ultimi pezzi di ghiaccio fusi ai suoi vestiti permeabili, con la forza e la determinazione di chi vuole staccare di dosso frammenti di memoria avvinghiati all'anima!
Riprese il suo cammino, in attesa del giorno pieno. Intorno, ancora il bianco lucido di una neve pronta a sciogliersi al calore della mano lieve di un sole ancora da venire.

 

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