Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Con i tuoi occhi, io potrò

di Maria Izzo

CON I TUOI OCCHI, IO POTRÒ
Bonnieux, 15 agosto 1560
Era già da un anno che, agli occhi di Dio e del mondo, Maria era la regina consorte di Francia. Tuttavia, nessuno sapeva cosa volesse davvero. Era “solo” una regina con degli obblighi.
Perciò amava scappare, appena possibile, in uno dei posti più belli che avesse mai visto. A Bonnieux l’odore della lavanda, sempre intenso e vorticoso, riusciva a farle provare quella leggerezza che, forse, solo le fate e le altre creature mistiche delle sue letture di fanciulla avevano il pieno diritto di provare. E quando si affacciava dalla finestra della sua stanza preferita dell’imponente castello, riusciva a sentirne il profumo mescolarsi, in modo cadenzato, al ritmo dolce dell’acqua che fluiva sotto Pont-Julien.
La regina aveva sangue scozzese, orgoglioso e testardo, le pulsava nelle vene con la stessa forza di una litania profana. Era piena di vita e bella da togliere il fiato. Francesco, dal suo canto, era bello come una poesia che deve essere ancora scritta e che ha la sua sola dimora nella testa dei poeti. I due erano riusciti a incontrarsi in un luogo comune e a trasformare un limbo nella più florida delle possibilità. Si amavano e, in un tempo così folle e scellerato, quella era l’unica benedizione a cui poter fare sempre ritorno.
Maria avrebbe voluto strapparlo ai suoi impegni, correre con lui nella foresta dei cedri per perdersi e ritrovarsi, senza fiato, sotto lo stesso albero. Avrebbe voluto intrecciare le dita alle sue, i respiri ai suoi respiri, la vita alla sua vita.
“Succederà, non è ancora il tempo, ma accadrà. Saremo soli a vivere il nostro incanto. In un futuro che, per quello che ne so, potrebbe essere più vicino di domani…”
Se lo ripeteva in continuazione, era certa che lei e Francesco avrebbero avuto il mondo ai propri piedi: un incessante alternarsi di inverni ed estati, un tumultuoso susseguirsi di autunni e primavere per scoprire, al sopraggiungere di ogni nuova stagione, altra bellezza.
Ma il re morì qualche mese dopo.
La giovane regina si sentì derubata di tutta quella meraviglia non ancora vissuta e che non avrebbe voluto più vivere senza buona parte della sua anima accanto. Perciò non fece mai più ritorno a Bonnieux, i suoi occhi non erano più in grado di posarsi su tutto quello splendore. Doveva lasciarlo in eredità a qualcun altro. A qualcuno che, un giorno, avrebbe scoperto una nuova equazione d’amore proprio sotto il più grande dei cedri. Se non con i suoi occhi, Maria avrebbe potuto vivere quella favola d’amore, negatale dal destino, attraverso quelli di qualcun altro…

Bonnieux, 2027
La Provenza è il più bel profumo che si possa indossare.
I suoi sconfinati campi di lavanda sono la prova tangibile dell’esistenza di un dio benevolo che elargisce bellezza ai suoi figli. I suoi pini, così robusti e selvaggi, sono un dono dal passato. A passeggiare tra quelle foreste sembra quasi di poter sentire i canti di un vecchio popolo che allietava le sue notti, secoli fa, cantando melodie sinuose al fuoco e alle stelle.
Giulia aveva deciso di sposarsi proprio lì, tra quei colori bellissimi, in quell’esplosione di magia che spinge il cuore a credere di non potersi mai sentire solo al mondo. Aveva conosciuto Riccardo nel peggiore dei momenti possibili, nel pieno di una pandemia che – fino a qualche tempo prima – sembrava solo lo scenario perfetto per il più redditizio dei film apocalittici hollywoodiani. Eppure quel momento era esistito e tutto sembrava troppo pretenzioso: la vita e la morte si mescolavano con troppa facilità, la bellezza non riusciva più a farsi strada negli occhi delle persone sempre più sole e abbandonate ai propri mostri.
Persino nel pieno della disperazione, però, se Giulia avesse dovuto associarlo a qualcosa, probabilmente, Riccardo sarebbe stato una Cattedrale. Una fabbrica di mattoni imponente che punta dritta alle braccia di Dio. Ai suoi occhi la bellezza di Riccardo era violenta e ingestibile. Non aveva a che fare solo con il suo viso o con quegli occhi strappati a una non ben precisata divinità arcaica. No, parlava di galassie, di tutte le poesie che aveva letto e dei libri che prima di diventare tali erano stati un’idea e poi un manoscritto.
Così, riusciva a guardare Riccardo come si guardano le grandi cattedrali. Avrebbe voluto portarlo ai piedi di Notre-Dame ed ergere un paragone: gli altri avrebbero continuato a guardare l’edificio maestoso, nelle sue vesti preziose e pagane, con i suoi Gargoyle spaventosi e affascinanti. Lei avrebbe sperimentato una contemplazione diversa: i suoi occhi avrebbero scorto ciò che gli altri non riuscivano a vedere posandosi sulla cosa giusta, nel momento giusto.
Quel giorno, immersa nei profumi e nei colori di un bellissimo castello, si trovò faccia a faccia con il suo destino. Un tempo, qualcuno le aveva chiesto come immaginasse il suo futuro e lei, con il cuore in gola, aveva deciso di rispondere a quella domanda in quel preciso istante.
“Qualcuno, una volta, mi ha chiesto come immaginassi il mio futuro. Oggi, lo so. Il mio futuro è tutto nella vita con te. È il nostro amore la tipologia di futuro che voglio sperimentare e che auguro a tutti: solo così i dolori potranno alleggerirsi e la vita tingersi di colori troppo intensi per essere guardati con un solo paio di occhi. Sette anni fa non sapevo che il mio futuro saremmo stati noi, in questo posto. Ora che lo so, non baratterei questo tempo con nient’altro. È l’amore il vero futuro a cui l’umanità dovrebbe ambire. E io non rinuncerò mai a questa promessa di bellezza che deve ancora compiersi ma che già riesco a vedere nei tuoi occhi.”
Sorrideva e per un secondo le capitò di guardare in un punto lontano, sulla spalla destra di Riccardo. Le parve di vedere una donna bellissima, immobile in un abito rosso sontuoso. Una lacrima rigava il suo volto giovane e Giulia si accorse di riuscire a sentire una voce che veniva da lontano. Aveva il sapore di un’altra storia, di un altro tempo.
Maria le disse solo: “Con i tuoi occhi, io potrò…”

 

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