Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Le cose di dopo

di Edgar Allan Poe's Daughter

Prese la penna e cominciò a scrivere.
“Le cose di dopo”. Come te le immagini? “Cosa ti aspetti dal domani?” cominciò a canticchiare… no, non era quello il momento di farsi venire in mente canzoni dei Lunapop. Concentrati! Su, coraggio! Non è così difficile. Seimila battute, spazi compresi, un racconto inedito sul tema “Le cose di dopo” riservato a scrittori, narratori e sognatori coraggiosi e, per la miseria, lei sì che era una sognatrice coraggiosa! Doveva farcela ad ogni costo.
Guardò fuori dalla finestra, era una giornata qualunque, di un anno qualunque che però sarebbe passato alla storia. Stava piovendo, il camino ardeva e illuminava un angolo altrimenti triste e spento. Una pila di libri sulla scrivania, ché non c’era più posto nella libreria, anche se, il giorno in cui l’aveva comprata, aveva pensato fosse immensa. Carte di caramelle, tazze con rimasugli di tè verde, fogli bianchi o scritti, post-it attaccati nei punti più improbabili, penne, matite e… una mascherina. Improvvisamente si ridestò dal suo torpore. In soli nove mesi, quell’oggetto così piccolo e all’apparenza insignificante, era entrato prepotentemente nella vita di tutti noi. Il classico check prima di uscire era passato da: “Chiavi? Prese. Fazzoletti? Li abbiamo. Il rossetto? C’è. Libro per la metro? Ok. Documenti? Ci sono tutti.” a: “Chiavi, fazzoletti, il rossetto non mi serve, il libro neppure che tanto la metro non la prendo più, documenti sì, autocertificazione compilata… la mascherina? Dove ho messo la mascherina?”
Come ci eravamo ridotti così? Ah già, il virus. Se lo ricordava ancora il giorno in cui tutto era cominciato. Era al ristorante, in una sera -pensava- normale. E invece, improvvisa e vorticosa come un torrente in piena, quella serata aveva cambiato la sua vita. “La vita di tutti”, corresse. Il Presidente in diretta nazionale, le cento ambulanze a sirene spianate, i canti dal balcone, il futuro di molti che si sgretolava solitario nel corridoio bianco di una corsia.
Chiuse gli occhi, prese un bel respiro e provò a immaginare le famigerate cose di dopo.
Fuori c’era il sole, tanto per cominciare. No, la pioggia andava bene lo stesso. Sai che c’è? Nevicava. Ecco, sta nevicando. Ma se nevica la gente non può uscire lo stesso. Cancellò tutto.
Ok, c’era il sole e le persone uscivano e si abbracciavano in strada. No. Quello era un racconto di fantascienza.
Nevicava e i bambini facevano a palle di neve nel parco, urlavano di gioia mentre le madri li rincorrevano con i cappelli: “mettiti questo o ti prenderai un raffreddore!”. Nessuno sapeva cosa fossero le mascherine, né la differenza fra FFP2 e chirurgiche, gli aerei decollavano verso mete lontane e atterravano carichi di visi nuovi, in posti nuovi, in un mondo che non aveva mai conosciuto la pandemia. Che c’è? Anche questo di fantascienza eh? In effetti… Allora era un giorno qualunque, a nessuno interessava delle condizioni atmosferiche, ché qualcuno si è mai chiesto se pioveva il giorno della caduta del muro di Berlino? No, e allora andiamo avanti. Era un giorno qualunque, si svegliò in anticipo, come sempre. Mise il caffè sul fuoco e preparò la colazione. Passò ore a contemplare l’armadio in attesa che la divina provvidenza le indicasse cosa scegliere per la giornata “qualunque”. Il caffè si era bruciato, pazienza, lo avrebbe preso in quel bar tanto carino che aveva appena aperto sulla via per il lavoro. In ufficio i colleghi erano in mille faccende affaccendati, litigò con qualcuno, pranzò con qualcun altro e la giornata lavorativa finì presto. Rientrò a casa stremata, con gli auricolari intrecciati al manico della borsa della palestra, i tacchi in una busta della spesa, le sneakers ai piedi. Il cane le saltò affettuosamente addosso per ricordarle che doveva portarlo a spasso: “Sì, adesso andiamo, lasciami prima… no, ok andiamo subito”. Sulla strada per il ritorno incontrò la vicina pettegola, che le raccontò vita, morte e miracoli dell’inquilino dell’appartamento B12, che era tanto un caro ragazzo, “Lo sai che è single?”. E addio sogni di gloria, non sarebbe mai riuscita a tornare a casa in tempo per… no, aspetta, il bus! Corse a perdifiato e riuscì a salire, fece le scale a due a due, dritta in doccia, i capelli ancora bagnati e via, verso il sushi e oltre! Le sue amiche la aspettavano spazientite: “Ma possibile che sei sempre in ritardo? Dai, muoviamoci, che il ristorante è pieno!”.
Tornò a casa tardissimo, a piedi, le era sempre piaciuto passeggiare.
Punto, finito. Eccole “le cose di dopo”.
Rilesse il suo racconto, mentre fuori ancora pioveva e con la mascherina ancora in bella mostra sul tavolo lucido. Hey, aspetta un momento, queste non sono le cose di dopo, sono le cose di prima. Posò la penna, era soddisfatta.
Tutto ciò che immaginava per il futuro, era solo tornare al passato.

 

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