Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

"I soldi non sono tutto, però..."

di VALERIO DE ANGELIS

Una di quelle giornate in cui senza giacchetto ti muori dal freddo, che rischi una congestione anche solo inspirando e col giacchetto invece sudi che con un colpo leggero leggero di vento ti prendi una congestione.
Io non lavoro, è il mio giorno libero e colgo l’occasione per portare a termine un po’ di commissioni: pagare le bollette, fare la spesa grossa, quella che pensi sia per tutta la settimana ma dopo tre giorni devi correre a fare la spesa. Ti riprometti di non riempire il carrello di dolci, snack, patatine, birre e roba, anche se ad oggi tutti dicono robe, del genere ma tanto ci ricascherai.
Magari se riesco vado a vedere anche qualche regalo di Natale.
Ebbene si: da quest’anno non mi affido più a Babbo Natale, almeno fino a quando non inizierà a fornire un po’ di documenti. Primo su tutti il contratto di lavoro degli elfi. Deve dimostrarmi di non essere un caporale.
Licenza varie legate alla produzione. Ci facciamo il sangue amaro creando stereotipi e luoghi comuni sui cinesi e i napoletani e poi ci caschiamo con Babbo Natale.
Dove vive Babbo Natale? Come guadagna? Possibile non abbia nulla intestato? Non ci casco. Quest’anno lo boicotterò.
Tra l’ufficio postale e il supermercato mi fermo in un bar per fare la seconda colazione, terza se incluso c’è il caffè preso a casa prima di uscire.
Entro, saluto educatamente: “Buongiorno, cappuccino e cornetto con la marmellata per favore”
“Chiara o scura?”
“Scura grazie. Mi accomodo?”
“Certo! Le portiamo tutto noi al tavolo”
Mi guardo intorno, mi impiccio sui discorsi degli altri, sfoglio il giornale senza leggere nulla in modo approfondito ma sbirciando solo i titoloni quando mi squilla il telefono. Messaggio Whatsapp:
“Ciao Vale, ti mando il link di un concorso letterario. Cercano racconti, vedi se ti interessa. Saluta tutti, bacio”
Aperto il link la prima cosa che mi balza all’occhio è: “Premio per il primo classificato: centocinquanta euro”.
Una piotta e mezza…
Dubbi: ho appena visto pubblicato il mio romanzo d’esordio in cui ho racchiuso i pensieri di una vita.
Un altro ce l’ho in cantiere in cui ci sono i miei “nuovi” pensieri e non ho nessuna intenzione di smembrarlo per racimolare un racconto che poi, alla fine, chissà che fine farà.
Un pensiero fisso: centocinquanta euro.
Senza considerare la pubblicità, il poter entrare nel giro e la visibilità che potrei ottenere.
L’unico paletto che impongo a me stesso è di mantenere comunque il mio stile.
Ok, ma cosa scrivo?
Per centocinquanta euro qualcosa bisogna tirar fuori.
Chiedo un tovagliolo al barista che mi serve la colazione e inizio a buttar giù una scaletta che includa anche i pro e i contro:
Pandemia: il primo ad essere depennato: che palle!
Tra l’altro non sono né un politico, né un economista, né un medico, figuriamoci un virologo.
Allora potrebbe essere la gestione della pandemia e dell’impoverimento culturale, sociale e di ispirazione che questa ha portato. No: presuntuoso. Andiamo avanti
I centocinquanta euro sono sempre più lontani.
Dalla vetrina del bar vedo un rom che chiede l’elemosina al semaforo e penso: perfetto! Potrei scrivere di un ragazzo rom che cerca la sua rivalsa prendendo le distanze da una certa realtà avvicinandosi alla cultura degli altri ma non riesce perché la società che tanto gli fa gola non lo accoglie. Una società che lo vuole nascosto nel ghetto da cui proviene a cui però fa affidamento solo per commettere atti che l’ipocrisia comune giudica negativi, e quando serve un nemico comune. Non lo so: potrebbe essere frainteso da qualcuno che potrebbe accusarmi di giustificare la criminalità.
Continuando sul filone della critica sociale potrei raccontare di un ragazzo di periferia. Madre alcolista prostituta e padre detenuto e tossicodipendente. Cerca un futuro migliore barcamenandosi nella burocrazia e legalità di uno Stato da cui si sente abbandonato. Alla fine riesce. Con sacrifici, studio e portandosi come inseparabile bagaglio gli insegnamenti del “quartiere”.
Non me la sento: è una realtà che non conosco e sarebbe irrispettoso sfiorando retorica e demagogia.
Perché non l’ho pensato del rom? Dopo ci torno e lasciamo aperto uno spiraglio su entrambi i ragazzi.
Non posso tornarci: centocinquanta euro. Il tempo stringe.
Mi servirebbe il mio cazzeggio ispiratore fatto di TV, musica, appunti presi e cancellati, carezze ai cani e palleggi con la pallina da tennis solo per il gusto di dar fastidio ai condomini del piano di sotto.
Potrei cimentarmi per la prima volta in una favola:
“C’era una volta una principessa che riesce ad ottenere il suo trono. Un trono diverso d quello delle altre principesse. Non era di velluto con rifiniture d’oro ma era molto più comodo. Era il trono che veramente tutte le ragazze sperano di ottenere e questo rendeva la principessa la più invidiata del suo paese.
Il trono si chiamava: tempo indeterminato con lo stipendio uguale ai suoi colleghi maschi, ferie pagate, diritto alla malattia e soprattutto alla maternità.
L’unica che non la invidiava, infatti era la donna che la principessa sposò, era un’altra principessa che faceva l’amministratrice delegata di una grande azienda e stava per essere eletta Presidentessa della Repubblica.
Come favola è un po’ noiosa per quasi tutti i bambini, almeno tra quelli che l’avrebbero letta.
Le femminucce sarebbero impegnate a giocare a far finta di lavare, stirare, dar da mangiare alle bambole e far fare loro i compiti.
Per i maschietti sarebbe una favola da femmina.
Non penso che sul regolamento del concorso ci sia il vincolo di “favola per bambini”.
Il problema è che gli adulti partono prevenuti e vedendo “Favola” non la leggerebbero.
Ho deciso: i centocinquanta euro cerco di rimediarli in qualche modo, magari lavorando e per stavolta salto.
Non partecipo a questo concorso, troppo difficile.
Mi spazzolo un tramezzino, una birra ghiacciata e mi sa tanto che alla fine, scrivo pure la letterina a Babbo Natale.

 

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