Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

L’effetto collaterale.

di Ilaria Mann

Sono passati vent’anni. Ogni cosa ce lo ricorda, oggi. Comunicati urlanti, i pixel sulle facciate dei palazzi, le nostre schermopareti in casa.
Vent’anni dall’eradicazione totale del virus.
Mio padre mi ha raccontato che un tempo si festeggiava la Repubblica, la Liberazione, il Natale e tante altre feste popolari.
Ora c’è solo questo.
Vent’anni fa è finito tutto e io ero troppo piccolo per ricordare il prima. Ricordo solo le lunghe file per effettuare il vaccino, dopo che da un giorno all’altro metà della mia famiglia e della popolazione mondiale non c’era più. Ricordo solo vagamente che la gente ha vissuto in un’atmosfera luttuosa e cupa per anni, fino al 2022, quando un gruppo di scienziati ha finalmente avuto la meglio sulla natura.
Non indugio in pensieri e mi vesto in fretta e furia, senza badare ai colori e a cosa stia indossando. Se è caldo o piove, fuori. Sono in ritardo. Devo uscire e raggiungere il gruppo ai festeggiamenti per il ventennale. Tutti i miei amici, coetanei e colleghi, mi aspettano, liberi per un giorno dai condizionamenti del lavoro e dallo stress.
E c’è lei. Sarah. Capelli rossi, occhi trasparenti, un corpo perfettamente modellato. Sembra uno di quei robot sexy, best seller dell’anno come baby sitter o colf domestica. “Il sessismo non si è eradicato come il virus” è la frase preferita di mio padre, in merito. Siamo gli unici nel raggio di chilometri nel mio quartiere ad avere un robot colf vecchissimo modello, con sembianze di robot anziché di donna.
I miei pensieri deragliano di nuovo, come sempre, fino a quando non la vedo. Mi aspetta.
Mi avvicino e la bacio, senza parole. Prendo possesso delle sue labbra piene che si schiudono appena la mia bocca si fa riconoscere. Lei me lo permette, da poco più di tre settimane. Ci incontriamo. Andiamo da lei, che vive sola, a differenza mia, che ancora sono sotto il tetto di mio padre, a venticinque anni suonati. Ci possediamo senza limiti e freni, fino a che non siamo stanchi. Poi me ne vado.
È così che funziona, nel 2042.

Mio padre mi ha raccontato che non era così. Mi ha spiegato che ci si innamorava, che il sesso non era solo una necessità corporale e riproduttiva, come ora. Che un tempo milioni di libri e di film raccontavano di corteggiamenti, infatuazioni e passioni irrefrenabili. Non riesco neanche a immaginare cosa siano. Il vaccino ha mutato e intaccato per sempre il gene CD38 e stabilizzato i recettori per l’ossitocina endogena, per sempre. Dalle parole di mio padre ho tristemente appreso che un’intera generazione, la mia, era troppo piccola per innamorarsi, prima del 2022 e sopita dalla mutazione, oggi.
Lo hanno scoperto troppo tardi, l’effetto collaterale, solo cinque anni dopo. Da allora, il virus ormai debellato, nessuno più è stato vaccinato. I “nuovi” si innamorano. I nostri vecchi si sono innamorati, almeno una volta, prima del virus. Noi no. Noi siamo in mezzo.
È una regola non scritta che noi non possiamo stare con i “nuovi”. Non funziona.
Ma io non volevo altro che sentire cosa si prova, cercare le differenze. Non posso capire, ma posso sentirla, la differenza.
È stato facile solo perché sembro più piccolo. Perché mi sono fatto vedere in giro nelle comitive dei “nuovi”. E ho conosciuto lei.
Sarah è una “nuova”. Non si capisce solo dall’età. Si capisce da come sorride. Da come mi tocca. Facciamo sesso da tre settimane ed è tutto uguale alle altre che ho avuto. Poi lei d’improvviso fa qualcosa di assolutamente lontano dal mio essere. Mi accarezza una guancia. Mi bacia gli occhi chiusi, mentre mi sussurra che le piaccio. Si accoccola sul mio petto e mi impedisce di muovermi. Di terminare e andare.

Oggi è il ventennale e mi addormento per la prima volta accanto ad un altro essere umano.
Ma mi sveglio colpito da qualcosa. Sono i miei vestiti, lanciati bruscamente addosso. Apro gli occhi e vedo il mio documento digitale nelle mani di Sarah. Me lo indica. È incazzata. Furiosa. Gli occhi trasparenti pronti a trafiggermi, se solo fosse possibile.
“Sei un “antecedente”! Perché non me lo hai detto? Non dovevo stare con te! Vattene!” Non rispondo. La guardo solo. Forse è questo che mi darebbe il gene CD38, le parole per calmarla, la capacità di stringerla. Mi darebbe un motivo per restare. E invece mi vesto, senza più guardarla, le passo accanto e me ne vado. Solo.

 

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