Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

"le cose di dopo"... hai capito, no?

di Lavinia Lucia Di Ferdinando

Caro diario,
oggi mi è capitato di iniziare a chiedermi come sarà il “dopo”. Sì, dai, il “dopo”, “le cose di dopo” … hai capito, no? Che poi, caro diario, “le cose” c’erano prima, ci sono ora, e ci saranno “dopo”: ci devono essere, non c’è molta scelta. Fin da piccola mi hanno insegnato che non ci si può fermare, per alcuna ragione. In effetti, il primo ad insegnarmelo è stato proprio il mio amato mondo dello spettacolo: “the show must go on”. Qualsiasi cosa possa succedere, mai costituirà un valido motivo per interrompere uno spettacolo e non andare in scena. Mi ricordo ancora di quella volta in cui, dietro le quinte, il mio vestito di scena si scucì improvvisamente (sì caro diario, sto parlando proprio di quella volta in cui la mia coda da “volpe” de “il gatto e la volpe” si staccò dal mio pantalone 3 minuti prima di salire su quel palco tanto ambito...). In quel momento mi sembrò inconcepibile l’idea di entrare in scena con quella misera coda ciondolante che si trovava sull’orlo di cedere e abbandonarsi al freddo parquet del teatro comunale. Eppure, caro diario, la leggenda narra che io l'abbia fatto. Ho fieramente indossato la mia instabile coda, sono uscita dal dietro le quinte e sono salita sul palco con passo sicuro, fingendo che nulla fosse successo: insomma, quella che si dice “furba intuizione da vera volpe!” (ok, scusa diario, magari il mio umorismo molto discutibile potrei anche metterlo da parte per ora…).
Ma la verità, forse amara, è che la vita non è uno spettacolo. La verità è che può essere davvero difficile rialzarsi dopo essersi imbattuti in un ostacolo che non siamo riusciti a superare. Certo diario, si potrebbe anche scegliere di aggirare l’ostacolo in questione, ma come? E soprattutto, aggirarlo vorrebbe dire ugualmente “superarlo”? La verità è che, quando si cade a terra, poi ci si abitua a stare nel fondo del baratro. Un baratro che in realtà nessuno di noi aveva chiesto di conoscere. E chi ci voleva sprofondare lì? Né io, cara me del presente, né tu, cara me del passato. Che poi, a dirla tutta, quando si cade a terra, la prima reazione è quella di nascondersi dietro ad un “era la cosa di cui meno avevo bisogno in questo momento”, cadendo in un circolo vizioso alimentato da pura autocommiserazione. E tu lo sai bene, caro diario, che io, in questo campo, detengo il primato dei primati, il primo posto dei primi posti, il Guinness World Record dei Guinness World Record. Alzarsi dopo una sconfitta non è facile per nessuno: appare molto più conveniente piangersi addosso, autocommiserarsi. E diciamolo, attribuire a qualcosa o a qualcuno quella maledetta colpa quasi ci solleva da quel peso insostenibile. È facile addossare la colpa a una causa a noi esterna, che sia un’altra persona, o un qualsiasi agente esterno. In questi casi, non ci passa per la testa neanche lontanamente l’idea di bussare alla porta di quel tanto temuto “esame di coscienza”, (che poi, caro diario, la parola “esame” mette proprio ansia alla mia coscienza dai, siamo sinceri). Ma, caro diario, se è vero che a terra si cade per motivazioni di ogni natura e origine, è solo uno lo stimolo che riuscirà a farti rialzare: te stesso. Certo, il mondo esterno potrà far nascere un sorriso sulle tue labbra per qualche istante, potrà dare l’illusione di tirarti su, ma i tuoi occhi brilleranno solo se troverai la forza di alzarti da solo, con quella “vis” che può nascere solo al tuo interno. Sì, ma come farla rinascere questa forza, se tutto ciò che vedo ora fuori e dentro di me è mancanza, desolazione, lontananza, smarrimento? Caro diario, ora mi serve proprio una boccata d’aria. Fuori dalla finestra vedo un albero, quell’albero che fin da piccola mi ha fatto compagnia e mi ha tirato su il morale. Mi sedevo alla sua ombra in estate, quando il sole picchiava forte e non aveva intenzione di darmi tregua. Quella piccola zona d’ombra sembrava il mio unico rifugio. Sedermi lì era come un rito dedicato solo alla mia anima. Tutte le paure, le tensioni, le preoccupazioni e le delusioni restavano fuori da quel piccolo cerchio di ombra. Proprio lì, per un attimo, ero riparata dai miei pensieri negativi, proprio come lo ero dal sole. Ma la verità è che la pace crollava prima o poi. Bastava il rumore del motore di una macchina, i passi di qualche vicino di casa, il richiamo di qualcuno, a ricordarmi che era ora di rompere la magia del mio luogo speciale per tornare alla realtà. Ma siamo sinceri: io stessa sapevo che prima o poi l’inverno sarebbe arrivato, e che quel sole cocente che in estate cercavo di evitare sotto l’ombra di quell’albero, avrebbe iniziato a mancarmi. E quanto lo avrei rimpianto a quel punto? Cosa avrei dato per poter tornare indietro e assaporare quel calore su ogni centimetro della mia pelle? Nonostante volessi, non avrei mai potuto tornare indietro. Avrei vissuto quindi nell’attesa di una nuova estate con i nuovi caldi raggi del sole. Ma la verità è che quei raggi che avevo perso, non sarebbero mai tornati. Sarebbe tornato un calore, sì, ma un calore diverso. Dove rifugiarsi a quel punto? Spesso, caro diario, tendo a proiettarmi troppo avanti nel futuro, o tendo a vivere solo ed esclusivamente in funzione del passato. Ed è proprio vero, di conseguenza, che le cose mi sembrano molto più grandi quando le penso, e penso, e ripenso… sì, ma in anticipo. Quanti scenari improbabili crea la mia mente per ipotetiche situazioni non ancora accadute? In effetti, caro diario, quel caldo sole estivo avrei dovuto godermelo fino all’ultimo raggio, invece di pensare a come ripararmene. Allo stesso modo, non avrei dovuto pensare a quanto lo avrei rimpianto in inverno, perché così non ho apprezzato neanche il potermi rifugiare alla fresca ombra.
Caro diario, vorrei vivere nel presente, per quanto possibile: il futuro lo costruirò mattoncino dopo mattoncino, senza pensarci troppo prima del tempo, ma vivendolo a pieno nel bene e nel male, quando, sotto il sole o pioggia che sia, saremo uno di fronte all’altro.

 

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