Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Pensieri metallici

di Francesco Ceccacci

Dopo la grande pandemia del 2049 il mondo conteneva in tutto pochi milioni di abitanti. Oltre il novanta percento della popolazione era morto durante quella terribile ondata epidemiologica. Noi siamo rimasti i soli che possono svolgere certi lavori, non c'è abbastanza manodopera nel mondo per produrre ciò di cui l'uomo ha bisogno e così noi li aiutiamo a raggiungere il loro scopo.
Siamo macchine, macchine più possibili simili a loro che fanno il lavoro sporco, che vivono senza vivere, che fanno finta di integrarsi senza mai la possibilità di esserlo davvero. I nostri comportamenti sono la conseguenza dei programmi che gli umani ci hanno installato, le altre macchine sono identiche mentre io sono diverso: ogni volta che vedo un essere umano provo ciò che loro chiamano invidia, come un prurito; loro possono essere amici, possono confidarsi, amarsi. I miei colleghi non sanno neanche di cosa parlo, loro prostrano il capo quando vedono passare gli umani. I miei simili si beano del loro essere ingranaggi di una catena di montaggio perfetta, di essere un granello di sabbia nell'oceano, un chicco di riso in una risaia, una millesima parte di un unico grande organismo.
Io sono diverso, sono il prototipo dell'ultima generazione, sono il frutto delle migliori menti del pianeta e probabilmente è proprio questo che mi rende anomalo. Ci sono troppe cose che non hanno risposta: se sono così avanzato allora perchè mi pongo tutti queste domande? Perchè continuo a pormi interrogativi ai quali probabilmente non avrò mai risposta? Perchè il più avanzato di tutti i robot ha più dubbi che certezze?
Uhaaaaaaaaa!
All'interno della fabbrica la sirena di fine turno risuona attraverso le enormi strutture di metallo che dividono le varie sezioni, in una decina di minuti la megafabbrica si svuoterà per poi riprendere a pieno regime fra qualche ora.
Non lo fanno per noi, noi potremmo lavorare tutta la notte, potremo instancabilmente svolgere il nostro compito per ventiquattro ore di seguito senza sentire la fatica, lo fanno per i controllori. Ogni blocco ha almeno cento controllori che monitorano il nostro lavoro, loro sono i nostri supervisori e qualsiasi ordine viene da loro deve essere immediatamente eseguito. I controllori hanno bisogno di riposare ecco perché la fabbrica chiude per qualche ora; i pochi esseri umani rimasti sulla terra non permettono il ciclo continuo di questa enorme struttura che si staglia nel mezzo di una vasta pianura facendo sembrare gli alberi piccole formiche.
Questa è una delle poche megafabbriche rimaste sulla terra. Qui siamo in grado di produrre di tutto, gli ordini arrivano giorno per giorno in base alle esigenze dei sopravvissuti.
La fine del turno è il momento della giornata che preferisco, non perchè stacco dal lavoro ma perchè a quest'ora, tutti i giorni, passa lei. Lei è un controllore del quarto blocco, purtroppo non il mio ma quello adiacente. Quando il suo turno finisce deve passare per forza da qui per uscire dalla fabbrica. Di solito prima arriva il rumore dei suoi tacchi e poi la luminosità dei suoi capelli biondi che risaltano come raggi di sole in una giornata tempestosa. Ogni tanto mi appunto le frasi che mi vengono in mente su di lei. Quando sono in carica non faccio che averla in testa, è un continuo, è un pensiero che non riesco a mandare via tanto da esserne ossessionato. L'unico con cui ne ho parlato è Enrico, di lui mi fido, è il solo essere umano che mi da retta e che ascolta ciò che ho dentro. Enrico per me è qualcosa di più di un semplice tecnico, solo a lui ho parlato della donna dai capelli dorati, solo con lui sono riuscito a sfogarmi.
"Mi sento uno scemo" gli dissi.
"Tu scemo? Tu sei l'ultimo prototipo, tu sei tutto tranne che uno scemo amico mio. Già che capisci cosa vuol dire scemo implica che tu non lo sia."
"Niente giochini Enrico, sai cosa voglio dire, quella donna mi fa un effetto strano, non riesco a levarmela dalla testa. Sai che ho scritto anche delle cose per lei?"
Enrico sembrava eccitato: "Ma dai! Le voglio leggere sono curioso!"
"Cosa dovrei fare secondo te?" chiesi.
"Parlagliene, dille cosa provi!"
"Pensi sia giusto?"
"Certo, non puoi tenertelo sempre dentro altrimenti il pensiero di lei ti continuerà a perseguitare per sempre."
Ci ho pensato su a lungo e finalmente ho deciso di seguire il consiglio. L'avrei fatto oggi stesso, gli avrei fatto leggere le mie emozioni, una donna di quella sensibilità, di quella bellezza non potrà non apprezzare il gesto, me ne convinsi.
Eccola arrivare da lontano, il rumore dei tacchi la precede.
"Mi scusi signorina."
"Si?" mi dice lei guardandomi dall'alto in basso.
"Ho scritto queste cose per lei." le sussurro porgendole il foglio con la stessa delicatezza con cui le avrei regalto un fiore. Quell'angelo si ferma, poi prende ciò che le porgo mettendosi a leggere con attenzione, vengo pervaso da una gioia immensa, rimango immobile mentre scorgo le sue iridi muoversi velocemente a destra e sinistra. I suoi occhi sono di un celeste così intenso che mi sembra di perdermi al loro interno cercando di scrutare tutte le mille sfumature di quel colore. Questo è il momento più bello della mia vita, mi sento finalmente libero, senza barriere, una sensazione che mi inebria; ho fatto bene a sentire il consiglio di Enrico, lui si che ci capisce delle vita, avrei voluto che quel momento non finisse più.
Pendo dalle sue labbra come un cane dal suo padrone, sono pronto a staccarmi un braccio per lei o a farmi disassemblare, l'unica cosa che mi interessa è poterla vedere da vicino.
"Allora?" le chiedo sospirando; lei trattiene il fiato e poi si mette a ridere, un riso sguaiato, si piega sulle gambe in una postura mascolina e con le lacrime agli occhi non smette di sbellicarsi dalle risate, si sta letteralmente sganasciando, sembra presa da un convulso, da un fremito irrefrenabile che mi fa sentire un sordido e insignificante neo su una natica di un cane.
Sono uno stupido, solo uno stupido avrebbe potuto pensare di fare una cosa del genere.







 

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