Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Al centro recupero del domani

di Ramona Aloia

Mi conducono in una stanza piccola ma ben illuminata. Mi fermo subito davanti alla porta con l'intento di tornare da dove sono venuto, ma la signora con il registro sulle ginocchia mi invita con un gesto della mano a prendere posto sulla sedia accanto alla sua. Prima che possa prendere parola, il ragazzo alla mia destra si alza in piedi visibilmente agitato.
«Sì, Dario, dimmi» la signora con il registro volge lo sguardo verso di lui.
«Dottoressa, mi scusi, questo signore è entrato senza igienizzare le mani e ora sta toccando i braccioli della sedia!»
Sento il peso di ventidue sguardi posarsi sulle mie spalle. D'istinto mi siedo composto, fisso le mie mani come se non mi appartenessero e non sapendo che farci le nascondo dentro le tasche del giubbotto.
La dottoressa mi sorride e mi porge un flaconcino di disinfettante. Lo prendo con gratitudine e ne spremo più del dovuto tentando di debellare anche il senso di colpa. Mentre sfrego le mani nell'attesa che il liquido si asciughi, la voce di una donna riempie il silenzio in fondo alla stanza. Si alza in piedi a rallentatore, in quel gesto scorgo tutta la sua insicurezza.
«Buongiorno a tutti, mi chiamo Pia.»
«Ciao, Pia» un coro di voci si muove all'unisono nell'aria.
«Sono trascorsi undici giorni da quando non indosso più la mascherina. Oggi ho anche sorriso a un passante senza coprirmi il volto con la sciarpa.»
Applaudo, ma sono l'unico a farlo e smetto all'istante.
«Molto bene, Pia» la rassicura la dottoressa «un ottimo risultato. Qualcun altro?»
Un uomo comincia a parlare senza aver chiesto il permesso per farlo. Siede con le gambe incrociate mentre con una mano fa volteggiare in aria un sigaro spento.
«Mi chiamo Alfredo, ma questo lo sapete già. Sono due mesi che non leggo il quotidiano Libero.»
Ci alziamo in piedi ad applaudire. Tutti tranne Dario. Afferra una mascherina dallo zaino e la indossa come fosse il travestimento di un super eroe; poi si mette in piedi sulla sedia e comincia a gridare col fare di un condottiero prima di una battaglia. Le sue parole sono sconnesse, capisco solo qualche frase qua e là: “poteri forti”, “il vaccino non esiste”, “vogliono farci morire tutti”.
Qualcuno si porta le mani alla bocca per lo stupore, altri sulle orecchie per non dover sentire. Soltanto la dottoressa non si scompone.
«Dario, ricominciamo. Cosa ti turba? Noi siamo qui per aiutarci, lo sai.»
«Lo so, lo so» la sua voce ora è calma e nitida, «è che ieri non riuscivo a dormire così sono andato su Facebook e mi sono iscritto sul gruppo “il buco nero” e ho scoperto un sacco di cose. Per esempio, dicono che il termine “Covid” non è altro che l'acronimo di “Congiura Ordita Verso I Deboli” e così mi son detto: allora è vero, è stato studiato tutto a tavolino per farci fuori!» Fa una breve pausa e poi, come pentito, si sfila la mascherina e l'accartoccia tra le mani.
«Dario, sai benissimo che il percorso per uscirne non è semplice. Sono passati sei mesi da quando il governo ha dichiarato ufficialmente che grazie al vaccino la pandemia da SARS-CoV-2 è finalmente conclusa, ma sapevamo pure che non sarebbe stato facile tornare alla vita di prima.»
«È che ho ancora quella paura attaccata addosso...»
«La paura è normale, ci permette di sopravvivere, ma per il momento tieniti alla larga da Facebook, ok?»
Dario, senza la mascherina da super eroe dei complottisti, mi sembra solo un ragazzo spaventato, vorrei dirgli qualcosa, ma non mi viene niente e così rimango in silenzio a fissare le mie mani igienizzate e vuote.
Una ragazza continua a sghignazzare creando malumore. Quando si accorge di essere al centro dell'attenzione, alza la mano per prendere la parola.
«Buongiorno, mi chiamo Nina.»
«Ciao, Nina.»
«Signori, scusate, ma non ce la faccio proprio! Cioè, pensate ancora che la pandemia ci sia stata davvero? Alla fine so' morti solo i vecchi, dai, su! Pure io voglio bene ai miei nonni, però la stiamo a fa' troppo esagerata, no?»
Prima che possa rendermene conto sto già parlando. La dottoressa mi lascia proseguire, mi interrompe solo per chiedermi di presentarmi visto che non l'ho fatto.
«Avevo un nome pochi mesi fa. Mi chiamavo Carlo, o almeno così mi chiamava mia moglie Francesca. In realtà, il mio nome di battesimo è Santino Profeta. Profeta è il cognome. Sì, fa ridere, lo so. Francesca odiava il senso dell'umorismo dei miei genitori così mi aveva dato un nuovo nome, un nuovo inizio. Soltanto lei mi chiamava Carlo. È per questo che da quando non c'è più sono tornato a essere Santino. Mia moglie è morta di Covid-19. Aveva quarantacinque anni e godeva di ottima salute. E anche se avesse avuto settant'anni avrei sofferto nello stesso modo. Un giorno si è svegliata che non riusciva più a respirare. Ho chiamato l'ambulanza e da quel momento non l'ho più vista. Se n'è andata e io non ho potuto starle accanto, non ho potuto nemmeno dirle addio. Sono ritornato a essere Santino e mi sono ritrovato solo.»
«Perché sei qui?» mi chiede secca la dottoressa.
«Sono qui perché Carlo sapeva amare, Carlo sapeva abbracciare. Santino, invece, non lo sa fare. Non so più come si abbracciano le persone, non so come si stringe una mano. Mi sono talmente abituato alla solitudine del dolore che non ricordo più cosa si provi a condividerlo con altri.»
Alfredo è il primo ad alzarsi e a raggiungermi tendendomi la mano. L'afferro subito perché so che non rimarrà molto in attesa della mia presa. Sono tutti in piedi e mi circondano con le loro braccia. Nina si avvicina per ultima, poggia la testa sul mio petto e avvolge le braccia attorno alle mie spalle. Ricambio la stretta con l'inesperienza di un bambino che si appresta a compiere quel gesto per la prima volta. Tornati a sedere, sento l'esigenza di dire un'ultima cosa. Li guardo uno per uno e loro ricambiano il mio sguardo. Alzo la mano, la dottoressa mi fa un cenno di assenso con la testa.
«Buongiorno a tutti, mi chiamo Carlo.»
«Ciao, Carlo.»

 

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