Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Gli sperduti

di Patrizia Tocci

I miei sperduti raccontano un po’ malvolentieri, con una sigaretta perennemente accesa tra le labbra. Le donne ridono forte, ma hanno una piega amara sulla bocca. Fino a poco tempo fa, affidavano memorie ed emozioni ai pixel colorati, che volavano nell’aria e attraversavano mondi. Ma qui si sfracellano contro le montagne più alte, qui dove non arriva il segnale, dove i cellulari tacciono e internet è una parola senza senso. Tra lingue ghiacciate di neve si respira un’aria libera dalle frequenze distorte. Quassù arrivano le anime dei giganti che vanno oltre, portate dagli sherpa piccoli e bassi ma pieni di forza nei loro muscoli scattanti. Anche loro parlano una lingua incomprensibile e sono gli ultimi testimoni di un’altra antica civiltà, camminano sulle mulattiere, in questa zona tutta offline. Qui abitano i cuori giganti, quelli scomparsi al tempo della grande solitudine. Fu una guerra silenziosa con un nemico che non aveva braccia, gambe e occhi ma pallottole terribili: squarciavano il petto e si dovette stare chiusi in casa a lungo. I cecchini avevano una mira precisa e implacabile. Così passò l’ estate e l’inverno nella mia città; molti giganti scomparvero in un soffio. Incredibile come la loro mole non sia stata sufficiente per tenerli al riparo. Conoscevano la musica e la matematica, sapevano leggere e scrivere montagne di libri e di lettere, avevano un cuore che batteva come un orologio a cucù. Qualcuno sapeva tutti i nomi degli uccelli e dei fiori . Altri erano stati costruttori di ponti e cattedrali, avevano inventato logaritmi e spiavano i satelliti nel cielo. Eppure neanche questo bastò, ai tempi della pazza solitudine.. Ma altri si incontrarono con me in segreto in un bosco e decisero che bisognava conservare la memoria della troppa solitudine per quando sarebbe stato possibile di nuovo abbracciarsi, toccarsi e sfiorarsi, parlarsi, seduti ad un caffè, tra amici, mentre il fumo della bevanda scura scaldava la tazzina e le mani. Bisognava documentare la zolletta di zucchero che si scioglieva con infinito piacere nel mare scuro, il tintinnio dei bicchieri, sporchi e puliti, la melodia quella dei viali affollati e dei i saluti, le conviviali, le aule vocianti, pugni di persone davanti a un tavola imbandita, le preghiere. bisognava raccogliere la solitudine affollata di pensieri, doveva restare traccia delle canzoni cantate dai balconi,dei piccoli e grandi gesti di solidarietà e di speranza. Schede precise, con nome , cognome e colore degli occhi dietro la mascherina, quelli che lottavano in prima fila. Costruiremo una zona sicura, ci siamo detti: un quadrilatero perfetto in cui il nemico non avrebbe trovato posto. Per il momento, l’acceso è limitato. Solo i bambini che ancora vivono nell’altra parte del mondo, possono venire a visitarci, accompagnati da qualche maestro o maestra c attento all’ inganno e alla bellezza della memoria. Oggi è appena arrivato uno sperduto che suonava la fisarmonica. Quelle note risuonavano a lungo nel silenzio di un paese, un filare di panni stesi attraversava la collina. Si chiamava Nicola ed era un uomo allegro e scherzoso, facile al sorriso. A modo suo, un gigante. Da anni costretto su un letto. E nonostante tutto, ogni tanto, ancora le note della fisarmonica sorvolavano i tetti lungo il pentagramma a cui erano appese le rondini.Scavano, questi giganti, vuoti dentro di noi, quando non ci sono più. Cunicoli in cui tentiamo di riacciuffare l’ infanzia al volo, insieme al calabrone o al maggiolino; costringerli legati ai fili, senza pietà, con la cattiveria sana dei bambini. Da questa parte del Mondo, ogni persona è un intero schedario, con voci che gli appartengono e lo collegano ad altri. La prima volta che ha scoperto una parola, che ha imparato a compitare e a leggere ad alta voce; la prima volta che ha fatto l’amore, il viso di quell’ uomo o quella donna stravolto dal piacere, i boccali di birra schiumanti in compagnia, la nascita del primo figlio, la fierezza di un lavoro e di un mestiere, la bellezza di una ruga nata dopo un grande dolore. Annotiamo le gocce di pioggia tra i capelli, il sentiero del bosco, il silenzio delle ragnatele, le insonnie notturne, Il calore dell’ amicizia e della solidarietà tra gli uomini . Persino il gesto di inforcare quegli occhiali tutti sgangherati per leggere un buon libro, ai tempi della spessa solitudine.tutto viene annotato dalla compagnia dei Bibliofili. Anche io ho cominciato a riempire le mie schede. Qualcuno deve pur farlo.
Quando veniva il Circo nel mio piccolo Macondo, quattro girovaghi con un tendone, montavano la giostra e i seggiolini viaggiavano nell’aria. Chiamarlo “ circo “ sarebbe davvero troppo, quattro girovaghi con un piccolo tendone, quella giostra con seggiolini che volteggiavano nell’aria. Girava anche la testa con le melodie e le canzoni per l’estate, rapide promesse ed occhiate gelose al ritmo dei primi balli. La giostra arrivava alla fine dell’ estate, quando ormai l’aia era libera, il grano mietuto e trebbiato. Nelle narici l’odore delle stoppie, la luce d’oro.
Molte schede di giganti sono ancora da riempire. Una abita qui con me. Mi suggerisce sempre nuove schede e non mi da un attimo di riposo. Ogni tanto la sua memoria gioca con altalene da brivido e a volte ride, a volte piange in questo pendolo incredibile che disegna la nostra circonferenza. Io schedo ordinatamente le emozioni in una giornata: irritazione, dolcezza, affetto, pensiero, ricordo. Mi sembra di stare sempre su quei seggiolini e tutto vortica attorno, tutto gira e io vorrei andare un po’ più piano, ma le stagioni rotolano.
E allora ho deciso che dopo aver scritto tutto, andrò in giro, ovunque nei mondi, cercando una fiera di paese. Voglio sedermi ancora su quei seggiolini, vorticare e pensare che il mondo tornerà a girare come sempre, ( lo fa anche quando noi non lo vediamo, di nascosto.) . E allora sarà finita questa grande solitudine e saranno tornate le cose di dopo, quelle che ci tengono nel giro della notte e dei giorni e ci aiutano a sorridere.

 

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