Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Il Comandante di Marina T.

di Alice La Torre

Il comandante di Marina T. si svegliava tutte le mattine alle ore sei, faceva colazione con del tè, due fette biscottate integrali e, quando si alzava particolarmente affamato, una banana. Al comandante di Marina T. piaceva allenarsi appena sveglio: aveva adottato questa abitudine durante il suo primo addestramento e non aveva intenzione di modificarla fin quando sarebbe stato in grado di reggerne il ritmo.
Il comandante di Marina T. si svegliava tutte le mattine alle ore sei, perché gli piaceva che la sua giornata gli si prospettasse lunga e piena di possibilità, cosicché sarebbe andato a letto, alla sera, consapevole di aver impiegato tutto il tempo al servizio del suo lavoro.
Da quando aveva raggiunto questo grado, le sue attività principali si svolgevano a terra, ma il Comandante trovava spesso il modo di inserirsi in qualche equipaggio; non voleva abbandonare l’attrazione per il mare e le sensazioni che solo in nave provava, più di tutte, quella da cui era invaso quando si trovava al largo: benché fosse circondato da un immenso nulla celeste, avrebbe saputo dire esattamente il punto in cui si trovava.
Nei periodi in cui decideva di salpare, gli orari delle sue abitudini giornaliere cambiavano: non esisteva più una sveglia e un momento in cui si andava a dormire, tutto tornava alle regole dei suoi primi anni di servizio. Durante la notte - il momento che maggiormente preferiva - rimaneva spesso sveglio a monitorare la nave in plancia e, di tanto in tanto, quando era possibile staccarsi dal comando, era solito affiancarsi a qualcuno dei suoi comuni di seconda classe, portarlo sui ponti scoperti e raccontargli qualche vecchio aneddoto da marinaio, o semplicemente servirsene come ascoltatore passivo. Ma più di ogni altra cosa, lo faceva perché voleva che nessuno si sentisse emarginato dall’equipaggio. Questo era un comportamento insolito per un ufficiale, il cui ruolo era quello di mantenere un certo distacco, senza simpatizzare con i membri, soprattutto con gli ultimi arrivati. Ma T. non era quel tipo di marinaio: una spiccata gentilezza lo distinse sin dal primo giorno e non permise mai alla sua dignità di cedere a quel rigido sistema di valori, che lui si limitava a rendere tollerabile, ma senza che diventasse mai la sua normalità;
Il Pio T. aveva la premura di rivolgere le sue attenzioni soprattutto ai più giovani, per sottrarli alla solitudine delle loro imprudenti meditazioni notturne (dopo tanti anni in Marina, T. sapeva bene che la notte era il momento più temibile in cui affondare in simili riflessioni) concedendogli qualche attimo di tregua da quel destino malaugurato a cui la vita li aveva costretti: dopo la crisi economica scatenata dal Covid- 19, l’unico fine delle nuove generazioni divenne quello di sopravvivere; non vi fu più spazio per i sogni, niente più ambizioni per cui valesse la pena lottare (quelle se le potevano permettere in pochi), pertanto, in quel panorama desolato, chi aveva la fortuna di risultare idoneo, entrava in Marina, una delle poche posizioni che assicuravano un lavoro per tutta la vita. Chi vi accedeva, dopo gli anni di addestramento, tentava di raggiungere il prima possibile un grado che gli garantisse il minimo sforzo al massimo guadagno, fino alla fine dei suoi giorni. Sebbene anche T. entrò per necessità economiche, maturò velocemente una certa passione per la navigazione che, nel giro di poco tempo, divenne la sua vita; ma il Comandante sapeva che questi ragazzi, che esaminava giorno dopo giorno con grande minuzia, erano differenti: niente li animava, si costringevano ad un lavoro forzato e mortificante, che non regalava loro neanche il più lieve fra i piaceri.
Il Comandante di marina T. che quella notte non voleva parlare con nessuno, si propose di fare un giro di ronda: percorse tutto il boccaporto fino all’apertura da cui decise di uscire, richiamato da un rumore sospettoso che proveniva da fuori, il quale non doveva essere altro che qualche sfiatatoio in funzione, poiché una volta uscito a controllare notò che niente fosse fuori posto. Si fermò a poppa della nave, appoggiò i gomiti sulla balaustra del ponte e, rivolto verso il mare, accese una sigaretta. Cadde in una di quelle riflessioni notturne da cui voleva proteggere i suoi nuovi e che lui ormai, dopo anni di esercizio, aveva imparato a gestire, tanto da rimanere immune al rischio di cedere alla malinconia. Ripensò ai suoi vent’anni: aveva appena raggiunto faticosamente il traguardo del diploma, quando scoppiò la pandemia che lo relegò in casa, luogo che fra tutti sentiva come una prigione ma, mese dopo mese, imparò ad abituarsi alla sedentarietà, fino ad inabissarsi in una condizione di inettitudine, in cui il giovane T. proprio non si riconosceva; ma non scese mai veramente a fondo: non appena l’Italia si risollevò dalla crisi, fu pronto per partire via di casa, salutò amici e parenti frettolosamente, voglioso di liberarsene.
Dopo decenni di carriera, il Comandante di Marina T. si sta ancora chiedendo se abbia fatto la scelta giusta.
Una folata di vento secco lo destò dal suo raccoglimento prima che fosse troppo tardi, fece l’ultimo tiro di sigaretta e sputò il fumo in corrispondenza delle nuvole che guardava sopraggiungere; fumo e nuvole si uniformarono in un’unica macchia grigiastra che impataccava il nero, gli piacque.
Voltò le spalle al mare e tornò in plancia.

 

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